romano notari

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Se la visita a una grande antologica di un pittore nazionale da me molto amato è come un viaggiare dentro il paesaggio dell’anima di costui, andare a trovare l’artista nel suo regno, alberi, colli, moglie, spazi chiusi e tenerissimi, è ancora più suggestivo, perché, nel caso per esempio di Romano Notari in quel di Campello sul Clitunno, colgo in sintesi destino e storia, singolarità ed eccezione di uno dei più straordinari operatori in immagini che si conosca. Le fonti del Clitunno, tutti sanno, sono soavemente distese sotto salici e cipressi, fra stele e tempietti, ponti e cigni, in azzurro, verde e grigio, con occhi di ametiste nei fondi, gremiti di erbe, che vibrano nel cristallo dell’acqua.

    Tutto intorno ripugna dal giallo e dal rosso, figuriamoci dall’arancio; e, appena al di là del muro di cinta della villa Notari, imbattendoci nelle due cornacchie domestiche che mi precedono guardando in su passo passo come cani o minuscole zebre con la coda, mi trovo in una situazione anche qui, non solare, dove la luce di perla imprime una sorta di mestizia da piccola voliera a uccelli che invece sono liberissimi di andare dove vogliono e magari di non tornare. Mi dice il loro padrone che, invece, restano stanziali come dentro gabbie immaginarie, che, al loro richiamo, le sorelle di passo scendono nel parco con grandi ruote, stupiscono all’estraneità di queste creature così diverse, si accomiatano a colpi di becco; proprio come fanno certi fruitori dell’opera di Notari: che la vedono giallo-arancio in mezzo a una natura tanto diversamente colorata: certo questa zolla di fosforo, questa grandissima goccia di zolfo fuso, che è la pittura dell’umbro, pare caduta per sbaglio in mezzo all’iride, una specie di protesta, reiterata e insieme crepitante, della monocromia.

    Eppure la tavolozza di Notari, dopo essere stati qualche tempo ad ammirare i suoi cicli di pittura, da quelli del “Monumento a Ledacigno” del 1976-’78, a quelli stupefacenti delle “Apparizioni dello spirito” (“un misticismo informal calligrafico”, lo definii una volta) a quelli delle “Metamorfosi d’amore” e degli “Amori solari”, siamo portati a vedere attraverso quell’oro panico, quel giallo alone di fuoco che non abbaglia, in cui l’iride è così sottintesa, così presente come una vertebra in filigrana, tutta quanta la natura, a viverne la parte (di polline), come il tutto (della materia). L’ingresso, il soggiorno, la scala, la balconata interna in un metafisico legno, le poltrone di plastica trasparente, il silenzio e il lindore quasi templare dell’eremo di famiglia, la presenza mite, e giuliva del pittore, creano una specie di sortilegio, di essere cioè come dentro il quadro del quadro, che Notari faccia vedere se stesso dall’opera alla vita e dalla vita all’opera, in virtù di una serie di specchi.

    Ha saputo far entrare la sua pittura dentro spazi astratti: pannelli, oblò, finestre di figurazioni stanno in “mobili catturanti” per cui — gli ho detto — si vorrebbero le pitture tutte astratte; ma assuefacendoci all’ambiente disegnato da lui, vediamo le cornici, strutturali a quelle analisi, a quelle notazioni di figure, dove mani e seni, becchi e ali, sublimazioni mistiche e cadute “bestiali”, giardini proibiti e Lede in cerca di autonomia sessuale dall’uomo (la prima femminista fu quella tale del cigno?) fanno spettacolo misterioso ed occulto, recitano un racconto che legni, spazi, mobili, comici, scomparti limitano ma non annullano, potenziano con le loro pause, strutture, levigatezze, materie. L’esplorazione della casa al piano di sotto è forse più stimolante: ci si interna in uno spazio criptico dalla capienza di una galleria d’arte medio grande, le pareti bianche, dove l’artista appende opere di dimensione, a stagionare nei loro cicli come il cognac nelle botti. Sono anche qui opere che, si interrogano le une con le altre e fanno il ritratto di un’anima figurale, di un occhio pensante. Teatro, tesoro, olimpo privato, ipotesi di perpetua serata inaugurale di una mostra di Notari, immobile nel tempo e sempre rinnovata. Ai lati, altri spazi fruibili per vedere, per soppesare, per discutere in poltrona come intenditori di nettari bacchici, che mormorino giudizi dentro il sentore del vino. Mi soffermo davanti a un bellissimo quadro del ciclo dei “processi di vita”, superlativamente commentato nel ’70 da Luigi Carluccio, che raffigura un angiolo-mostro, emblema di dolce furore amoroso, stagliato in un rettangolo di luce per mezzo di un riquadro dipinto, una cornice immaginaria e, insieme, il taglio di un quarzo. Discorriamo del rapporto tra segno e colore, modificato e reso più conflittuale nell’ultima fase della sua arte, le composizioni, anch’esse grandeggiate, dei “Giardini proibiti”, dove un Adamo e una Eva compiono un dialogo dei sensi del tipo di quelli dei protagonisti degli “amori solari”, solo che in questi più recenti l’assorbimento della natura, anziché essere animale (come nella passata metamorfosi di ali, becchi, grigi dolcemente mostruosi) è vegetale, una sorta di muschio impalpabile, di polline verde, una cipria di aurora scende e copre i corpi avvinghiati; il paradiso, accogliendo in misura sia pure infinitesimale l’iride negletta, assume un che di maggiormente terrestre.

 

Oggi i lettori hanno preso l’abitudine di chiedere agli artisti il loro credo in parole. Che cosa vuoi dire?

 

La mia ricorrente forma rotonda invasata da colore solare, è per me il simbolo dell’anima, della creazione, della procreazione e quindi vita. Il mio lavoro e dialogo doloroso, ossessivo, tra me e l’opera, tra le visioni che vorrei salvare e le contaminazioni che debbo combattere e nascono così le mie metamorfosi, le ore calde, gli autoritratti contaminati, i processi in giallo e arancio, come al principio della creazione.

 

Sei considerato un pittore controcorrente, almeno nel senso di non appartenere a un “ismo” datato; semmai potresti essere adesso compagno di strada dei transavanguardisti.

 

Su questa compagnia che dici faccio le mie riserve: se quei giovani dipingono bene, non hanno molto a che fare con me, che se dipingo bene, forse, dipingo a modo mio. Potrebbe darsi tuttavia che loro avessero in comune con me il fatto che mi interessano il progresso tecnico scientifico, la conquista dello spazio, le necessità artistiche degli altri, tutte cose che mi intossicano il cuore.

 

Allora che cosa preferisci in concreto?

 

Io ascolto i moti della coscienza degli uomini, i loro sforzi, le loro meraviglie e ne ritraggo non il missile che lo ha reso grande (e terrificante) ma il messaggio che lo rende felice, l’impulso d’amore e pacifico che l’ha trasformato nei suoi processi di conquista, una conquista della vita, da “soldato della vita”, come tu scrivi in una tua poesia.

 

Tu sei un artista religioso?

 

Nel senso puntualmente cattolico, potrei esserlo per la vicinanza alla iconografia barocca e manieristica, dei motivi sacri nei cicli dello “Spirito Santo”; ma, più in generale potrei osservare che le immagini che vivono in me come rapporto d’amore spirituale e terreno, hanno sentito il bisogno di una contemplazione verso l’alto, su nell’infinito universo, verso la “forza creatrice”.

 

Marcello Venturoli, Taccuino. Incontro con Romano Notari, in “Arte & Cronaca”, anno I, n. 1, Galatina, maggio 1986.

 

 

Non c’è arte se non c’è fantasia e tuttavia a partire dalla seconda metà degli anni ’60 va individuato nel variato universo dell’arte italiana, un filone più specifico che va sotto il nome di arte fantastica in cui anche la tua pittura è stata collocata. Che significato dai a questa definizione?

 

La fantasia è portatrice dell’esaltazione dell’arte, perché ne cela il suo mistero invisibile, nascosto, ed il fruitore che viene ad esserne stimolato nella sua psiche, apre mente e cuore ed è portato quindi ad un impegno maggiore di conoscenza e di riflessione. La fantasia lo aiuta a progredire e a scoprire il proprio “lo”, vorrei dire che essa coinvolge l’uomo in tutte le sfere del suo essere e per questo si impone fondamentalmente all’uomo, è efficace e lo porta a risolvere implicazioni anche di dimensioni sociali ed ideologiche, di progresso e di crescita. Io credo che la fantasia regga la vita, la carichi di stimoli che esaltano l’interiorità conoscitiva dell’esistere, altrimenti la vita sarebbe monotona e senza significato.

 

Breton ha affermato che “la fantasia non è più la sorellina astratta che salta la corda in un giardinetto pubblico”, intendendo con ciò che la fantasia ha implicazioni anche di natura sociale e ideologica. Tu che ne pensi?

 

L’arte si è sempre manifestata nei vari linguaggi espressivi, con significati fantastici, che trascendono dal mondo del reale per interrogare ed esternare il proprio lo. E la corrente surrealista degli anni ’20 è padre e radice, direi, di tutta la componente dell’arte fantastica contemporanea. Ma mentre il surrealismo è andato man mano esaurendosi come crisi storica, essendo una tendenza ideologica ben precisata, non può dirsi così per l’arte fantastica, che a partire dagli anni ’60 si è individualizzata come emergenza significativa con azioni trascendentali e liberatorie e quindi con atteggiamenti esplorativi personali, nei confronti della realtà, ma tutti rivolti a immaginazioni di profondi stati visionari e delle memorie archetipiche, tralasciando la visione ottica del quotidiano e il visibile naturalistico, annoverando personalità sparse in Europa, con differenti registrazioni di contenuti interiori.

    C’è in comune, vorrei dire, una trasgressività delle norme della visibilità conscia, per proiettarsi come sfera illuministica, tutta in visione inconscia. E su questi aspetti generali dell’arte fantastica, entra anche la mia ricerca pittorica, soprattutto nell’aspetto visionario e dell’inconscio, ma che diventa poi appartata e intimistica nella mia poetica; perché tracciata in un incessante itinerario, tutto teso a sondare il mistero dell’universo, come origine di vita, della sua primaria forza vitale, della sua armonia come ordine e bellezza delle cose e che conduce come un sogno ad occhi aperti a scoprire il nascosto del visibile nel suo processo di metamorfosi che nasconde il succedersi della vita. Un sogno inafferrabile, enigmatico dell’esistenza, tra il conscio e l’inconscio e che generi al fruitore un coinvolgimento di colloquio per condurlo ad un conturbamento psicologico e spirituale di analisi interiore e viaggi alla scoperta di quell’esaltazione nascosta e sublime dell’amore come bisogno e salvezza dell’essere.

 

Alla luce delle tue esperienze passate e presenti, noto che la tua pittura nasce e procede per cicli. Perché ?

 

Posso dire che la mia formazione pittorica, essendosi maturata nell’identificazione della vita come bisogno di sublimare i suoi misteri, che sono fonte di bellezza, ha sentito fin dall’inizio di procedere ad un lento ma continuo scavo interiore per cogliere valori nascosti di visioni simboliche, per poter comunicare la mia personalità poetica. È sgorgato, quindi, senza programmazioni, un “itinerario dell’inconscio obbligatorio”, meglio potrei dire, di viaggi illuminanti che mi hanno condotto fino ad oggi, di processo in processo, alla scoperta del “diverso”, per cogliere l’inafferrabile significato della vita, l’amore terreno e spirituale, il rapporto tra cielo e terra, consumato il tutto come sopraffazione della luce sulla materia per evidenziarne l’aspetto più spirituale. Perciò i “Cicli” che ho dipinto rispettano solo un ordine di meditazione riflessiva e di consumazione fino all’esaurimento dello stesso soggetto evidenziato; ma tra l’uno e l’altro rispettano la stessa fonte di evocazione che da sempre vado sognando.

 

È evidente che alla base della tua ricerca c’è il segno inteso come scrittura mediamente espressiva. Quale è l’influenza che il mondo grafico ha sul tuo lavoro e sulla tua pittura in particolare?

 

Nella mia pittura senz’altro il segno acquista significato primario. Sento molto prima di affrontare il dipinto ad olio, un bisogno grafico come “verifica” di variazioni del mio immaginario poetico. Come “conoscenza” del sentire e vedere per trasmigrarlo poi nell’opera ad olio. E certamente gli studi grafici del passato mi hanno influenzato molto. Non per niente, il mio inizio, è stato un costante interesse di fare grafica con “composizioni” di uccelli e immagini femminili che risalgono al 1953 con richiami al mondo poetico di Klee, che già amai. Fare grafica, disegnare, tracciare su carta bianca, rossa o gialla è confessione di umiltà senza rossore per visualizzare contenuti espressivi e immediati dell’lo, tracciare in ampi cerchi itinerari che racchiudono immagini e pensieri che l’artista va esplorando nel suo spazio; visioni captate e fulminate a tempo di “luce”, bisogno di far ramificare linfa che corra impazzita su carta a compimento germinante, entrare in sintonia con il “nascosto dell’esistente” come sublimazione di verità nuove, non accorgersi che manca “peso”. che “penna non c’è”, che non conosce fisicità, che c’è solo il “tum-taf, tum-taf’ di un “cuore grande così” che vuol pulsare forte perché fuoco d’amore è vicino a due passi. E che il secondo, il mese. l’anno non esistono. C’è solo lo spazio di tempo creativo, infinito e indecifrabile per il viaggio in ampi cerchi che si espandono ad esplorare la “Tua presenza”.

 

Floriano De Santi, Arte & società. L’inconscio obbligatorio, in “Brescia Oggi”, Brescia, 10 febbraio 1987.

 

 

Nel “giardino” di Romano Notari il reale si lega all’impossibile. Per una sorta di magia metamorfica, ogni rappresentazione plausibile perde la sua definizione, la sua collocazione nella logica del già visto. Ciò che si vede è ciò che accade e può accadere nell’hortus conclusus della memoria inconscia dell’uomo, dove all’apparente si sostituisce l’apparizione. Qualcosa che ha il fascino e la bellezza della dannazione e della lussuria umana ridondante dei corpi trasumananti da simboli noti in altri propri dell’autore. In un’allucinazione permanente, l’universo del mito è stravolto nella ossessione biomorfica di una forma che vacilla continuamente in altro da sé, in una rigenerazione vertiginosa, da foresta tropicale, in un porto di armoniosa bellezza. Si respira una luce acida, favorevole alla vegetazione infernale, in un inarrestabile movimento di immagini evocative della geometria trascendente del sogno. In quest’abbaglio splendente, prende forma la superfetazione ammaliatrice del cervello umano, il luogo dell’essenza del tempo finito, di cui il pittore si propone come guida per ricercare l’origine di una bellezza che va al di là della fissità apparente di ogni giorno.

 

Si può definire l’immagine erotica nella sua artificialità, o è meglio parlare di erotismo dell’immagine?

 

L’immaginazione erotica si può definire tale quando si è voluta creare una rappresentazione che metta a nudo l’Eros nelle più ampie, libertarie e molteplici manifestazioni del corpo in atti d’amore sensuali e non pornografici, ma retti da una sublimazione e da una raffigurazione di armoniosa bellezza. Mentre nell’erotismo come immagine si può dire che spesso visioni e cose o sogni richiamano una raffigurazione che entra nel regno del fantastico erotico, può essa richiamarsi ai simboli fallici, parti provocanti nel corpo, che entrano a far muovere la psiche e l’eccitazione e a dare perciò valori a immaginazioni erotiche non comuni e non definibili.

 

L’erotismo realizza un rapporto con l’impossibile?

 

L’erotismo può sconfinare in alte sfere fantastiche, in un porto di estesa conquista amorosa, in quanto vengono a crearsi, per puro amore, infinite sensazioni di piacere, paradisi dell’Eros, in immagini di armonioso amore, come il grande artista coglie e ha saputo trasmettere. Così l’uomo e la donna possono evolversi in nuove e segrete fusioni d’amore, ma non travalicando le forze della natura esistenziale umana. Ma fin tanto che l’istinto inteso come forza motrice dominerà la proiezione del piacere erotico, rimarrà la chiave preziosa del meraviglioso godimento d’amore come vera meta dell’impossibile.

 

Oltre la civiltà erotica, che ha creato il mito di Don Giovanni, e ha fatto l’apologia del potere redentore e maledetto dell’amore femminile (amore sentimentale), cosa ci si può aspettare? Forse il superamento dei consueti termini discriminanti il maschile dal femminile, forse una loro nuova combinazione?

 

Oggi l’erotismo si è liberato da tabù e miti e dai molti infingimenti delle generazioni passate, e molte cose sono venute alla luce dopo oscuri periodi di indiscriminata repressione e l’arte erotica ne è testimone, protagonista. E oggi quindi ci si incammina a un livellamento paritario tra i due sessi come bisognoso potere e piacere del proprio corpo. Ora se nell’uomo e nella donna l’innata e potente energia dell’Eros sarà mai soffocata da uno dei due, ci sarà, io credo, un’inesauribile combinazione nel cercare l’amore che genererà la vita e quindi la gioia di vivere nell’appagamento liberatorio.

 

Nell’erotismo è contemplata una certa volontà di trasgressione?

 

L’erotismo in quanto piacere dei sensi scuote l’essere nella sua fantasia e sviluppa idee diverse, insondabili e senza limiti, si sviluppa in molte direzioni che trascendono dalla volontà propria. Ecco il perché dell’interesse degli artisti agli aspetti visivi del sesso che ha avuto nella storia molti protagonisti.

 

L’“attacco” della tela, per il pittore, si può concepire come una ribellione contro il vuoto che incombe, l’abisso del tempo, il luogo in cui si indovina l’essere amato, oppure come la porta aperta su un divenire senza sosta, la cui vertigine libera dai legami, in un rapporto di totale assenza da se stessi?

 

Direi che il pittore porta dentro di sé la “conoscenza esistenziale” di ieri e di oggi, la vita, l’amore, la morte e la sente e la vive maggiormente quando incombono le avversità artistiche quotidiane che toccano il suo lo. Cerca di soffocarle dipingendo e ciò pone l’artista, almeno per me, in un viaggio illuminante della fantasia, un processo pittorico liberatorio senza peso, per cogliere in atti d’amore la bellezza dell’invisibile che fa alimentare il nostro essere in un godimento totale e senza tempo; è l’arte che apre all’essere le porte conturbanti dell’anima.

 

O piuttosto la forza, l’impulso talvolta febbrile del dipingere comprende la violenza, l’angoscia di una lunga attesa d’amore, l’intolleranza dell’amato, la vittoria sul nulla?

 

Il mio impulso nel dipingere è per me inteso da sempre come forza spirituale e fisica (anche il sudore è piacere...) perché è trasmissione irrefrenabile che emerge dall’inconscio, è estasi d’amore che vado esplorando febbrilmente fino a compiere “l’atto d’amore”. Perciò trasmuto tutti i desideri per l’ansia di un amore atteso o un’angoscia di gelosia, con uguale ardore sulla tela. La rivelazione del mio stato d’animo si configura, semmai, nel mio poetico mondo immaginario! Con un canto del cigno in segno di vittoria? O di una sconfitta?

 

L’espressione artistica vista non solo come specchio in cui si riflette la figura dell’artista, le sue relazioni con la realtà della vita e del sogno, può essere considerata come un’entità spazio-temporale nella quale la seduzione del segreto, l’illusione del desiderio, la finzione trovano il loro gioco?

 

La poetica che l’artista rappresenta è certamente, se sentita, fonte di verità che riflette il suo messaggio creativo e ne fa testimonianza la sua opera sia in forma astratta, sia in forma figurativa. Ma la percezione di scoprire fin dalla nascita dell’opera tutta la sua nudità, gli stimoli, le segrete conquiste, i pentimenti, le sue finzioni, cioè tutto il suo universo che può riflettersi come rivelazione, è per molti artisti complessa da identificare, anche se è meravigliosa da scoprire. Ma c’è la parte illeggibile che emana dall’opera, questo nascosto che a volte sfugge anche all’artista, perché è irrazionale l’atto creativo esternato dal proprio inconscio, quel nascosto, così positivo, come l’amore, che porta nell’oblio dell’“Eros’’.

 

Gianfranco Proietti, Romano Notari, in “Penthouse”, Edizione Italiana, anno III, n. 2, Milano, febbraio 1988.

 

 

Se, per capirci di più mi chiedessi (io o tu): cos’ è disegnare?

 

Disegnare su carta bianca, rossa o gialla è confessione di umiltà senza rossore, per visualizzare contenuti espressivi dell’lo; tracciare itinerari che racchiudono immagini e pensieri che l’artista va esplorando nel suo spazio; visioni captate e fulminate a tempo di luce, bisogno di far ramificare linfa che corre impazzita su carta fino a compimento germinante; entrare in sintonia con il nascosto dell’esistente come sublimazione di verità nuove, non accorgersi che manca peso, che penna non c’è, che c’è solo il “tum-taf, tum-taf” di un cuore grande così che vuole pulsare forte perché fuoco d’amore è vicino a due passi, e che il secondo, il mese, l’anno non esistono. C’è solo lo spazio di tempo creativo, infinito e indecifrabile per il viaggio in vasti cerchi che si espandono ad esplorare la Mia, la Tua Presenza. Per me il disegno è lo strumento per sperimentare e non per compiere un esercizio ripetitivo; il mezzo per proseguire il cammino.

 

E cos’ è dipingere?

 

Per me dipingere è imparare umilmente, soffrendo, pregando, entrando, rifiutando, palpitando, donando, cercando, scacciadiavolando, implorando, consumando, corrodendo, sublimando e ricominciare ad imparare umilmente a dipingere...

 

Perché usi sempre quel colore giallarancio?

 

I primi quadri sono nati con questo colore perché pensavo ai primordi della vita, al tuorlo d’uovo (nucleo vitale) e alla luce solare (fonte di energia). Esso è composto di giallo, arancio e rosso ed è da me usato non per il suo valore cromatico, ma per l’intensità luminosa e per potenziare il sentimento. Con velature, passaggi tonali e combinazioni elementari, ne sfrutto al massimo le possibilità fino a nutrirlo di significati psicologici. È l’essenza delle mie opere, ha dentro una gamma infinita di variazioni, sempre in funzione dei contenuti e mi permette di esprimere una calda spiritualità. Insomma, è il colore che più mi va a pennello…: quello dell’oro prodotto dall’alchimia.

 

Perché tanta sete di luce?

 

La luce è forse l’elemento più importante dei miei quadri. È ossigeno di vita e amore, simbolo di verità e di purificazione. Grazie ad essa l’opera può comunicare.

 

Ti consideri un sopravvissuto della pittura, un dotato dalla natura?

 

È difficile dirlo, però io penso che l’arte sia un dono, altrimenti non si spiegherebbero certi stimoli che alcuni sentono fin dall’infanzia, non si sentirebbe l’inesauribile bisogno di colore, di luce ....

 

Quali sono gli aspetti che legano il lavoro di Notari all’arte del passato?

 

In primo luogo il metodo. Dalla prima idea all’opera finita seguo gli stessi procedimenti, lenti, di formazione. Altri elementi che mi accostano agli artisti del passato sono la struttura iconografica del quadro, la purificazione della materia, la qualità pittorica ed anche il ricorso al simbolo ed alla mitologia. Naturalmente non escludo la serietà professionale ...

 

Pensi che l’artista oggi debba operare necessariamente con il mezzo pittorico?

 

Non escludo che si possa fare arte usando materiali extrapittorici. Io ho scelto la via della pittura ad olio perché mi dà la possibilità di esprimermi con completezza. Prima la pittura non esisteva, poi è esistita; ieri non si voleva più, oggi è tornata. Chi può dire qual è la giusta via? Se dietro ci sono le verità di un artista che vive da vicino il proprio tempo senza ripetere una formula, essa è un mezzo come un altro per ricercare e rappresentare. lo ho sempre sviluppato la mia poetica con questo mezzo e vado avanti così tagliando la strada alle mode passeggere. Con ciò non voglio dire che l’arte va fatta solo con la pittura ad olio, ma non si può neanche affermare l’opposto.

 

C’è ancora un vuoto da colmare tra intenzione e risultato?

 

Penso che ogni artista abbia questo problema: il continuo desiderio di raggiungere una maggiore perfezione. Questo viaggio dalla partenza puntuale e dall’arrivo incerto provoca un tormento. Lavorando si può conquistare la tecnica, ma la perfetta unione tra l’artista e l’opera resta difficile, per certi versi irraggiungibile.

 

La ricerca interiore ha il sopravvento su quella linguistica?

 

La scelta del linguaggio è avvenuta dopo anni di esperienze e penso di aver trovato nella pittura il mezzo più funzionale alla mia problematica. Inoltre, la ricerca interna e la crescita di intensità dell’opera fanno anche maturare la perfezione tecnica. In altre parole, se migliorano i contenuti, migliora anche la resa formale. In questo senso si può dire che la sapienza tecnica per me non deriva dal mestiere. È una cosa che non so spiegarmi, avviene al di fuori della mia volontà.

 

Come si evolve la pittura di Notari ?

 

La mia formazione pittorica si è maturata nell’identificazione della vita come bisogno di sublimare i suoi misteri che sono fonte di bellezza. Ho sentito fin dall’inizio di procedere ad un lento e continuo scavo interiore per cogliere valori nascosti di visioni simboliche e poter comunicare la mia poetica. È sgorgato, quindi, senza programmazione, un itinerario obbligatorio dell’inconscio, meglio potrei dire, di viaggi illuminanti che mi hanno condotto fino ad oggi, di processo in processo, alla scoperta del diverso per cogliere l’inafferrabile significato della vita, l’amore terreno e spirituale. Sento molto, prima di affrontare il dipinto, un bisogno grafico. Il segno, inteso come medium espressivo, acquista per me significato primario, a verifica delle variazioni del mio immaginario poetico, come conoscenza di sentire e vedere per trasmigrarlo poi nell’opera ad olio. La mia pittura è proceduta sempre per cicli che rispettano un ordine di meditazione e di consumazione fino all’esaurimento, come sequenze dell’anima e della visione.

 

Cosa ti dà la natura?

 

In essa cerco il suo invisibile nascosto; l’originaria armonia di bellezza, di luce e di colori, le metamorfosi tra il corporeo e l’incorporeo, tra l’umano e l’animale. La natura è dentro la mia vita con il suo caldo mistero ed è presenza creatrice di viaggio mentale. Dalla sua realtà derivo gli elementi primari e i processi evolutivi.

 

Dalla realtà esterna cosa ti deriva ?

 

La mia pittura si è sempre manifestata con significati fantastici che trascendono dal mondo del reale per collocarsi in quello del sogno, ossia nell’immaginario. La realtà esterna, pur agendo da stimolo, subisce una metamorfosi continua e viene registrata nelle varie apparizioni fino ad assumere una consistenza poetica.

 

Luciano Marucci, L’immaginario poetico di Notari inedito, in “Hortus. Rivista di Poesia e Arte”, anno I, n. 1 (anno IV, n. 7), Cupra Marittima, gennaio-giugno 1990.

 

 

Quando hai cominciato a dipingere?

 

Forse già nel grembo di mia madre il mio destino era segnato perché io diventassi pittore. Già alle scuole elementari emerse la mia abilità nel disegnare e colorare ogni figura che mi colpiva, copiando da libri e cartoline. Ed ero felice quando la maestra appendeva i miei quadretti alle pareti e mi faceva disegnare e colorare sulla grande lavagna scene tratte da Cappuccetto Rosso e Pinocchio. E così crescendo, instancabilmente, cresceva l’istinto forte di continuare a dipingere, e ad attrezzarmi tecnicamente. Un’ossessiva forza occupava tutta la mia mente e spesso trascuravo i giochi con i miei coetanei. Fino a riuscire a frequentare la scuola di Belle Arti a Perugia, un sogno raggiunto tra grandi difficoltà. Si aprì così per me la strada all’affascinante mondo dell’arte, mi appassionai alla ricerca storica, studiai e copiai i grandi maestri a me più cari. Crebbe infine l’urgenza di trovare una mia identità dettata dalla mente e dal cuore.

 

Mi ricordo che una volta mi hai detto che mentre i tuoi amici andavano a giocare a pallone tu rimanevi in casa a dipingere?

 

Si!

 

É quindi necessario allenarsi per poter creare?

 

Per creare è bene astrarsi dalla realtà che ci circonda, per meglio concentrarsi e ascoltare la voce dello spirito.

 

Possiamo parlare di una sorta di chiamata?

 

Ne sono certo. Un individuo nasce con un preciso compito, che segna ogni sua opera in questa vita terrena. Io sono stato chiamato per fare il pittore! Non saprei fare altro! Questo è il fascino della mia e nostra esistenza!

 

Dipingere può diventare un’ossessione o per te è sempre stato un momento di creazione?

 

Dipingere per me è essenzialmente scavare nell’invisibile dell’esistenza, nella sua nascosta e grandiosa bellezza che sfugge alla normalità della gente, ma che esiste nella perfetta creazione divina. La sua forza è tale che dipingere può diventare un’ossessione continua fino a che non si raggiunge quel soffio di alta poesia chiamato capolavoro.

 

Esiste la possibilità per un artista di farsi fuorviare da mode effimere e occasionali?

 

É frequente che mentre dipingi il diavolo voglia distorcere la tua verità poetica. Ma fortunatamente l’angelo è sempre accanto a me perché io ascolti come compiere il miracolo dell’opera. Scacciadiavolando quindi l’effimero mondo delle mode di mercato e il pullulare degli Ismi, d’invenzioni banali, che durano una sola stagione. Angelicando e pregando invece con fede, con resistenza, umiltà e amore.

 

A volte c’è la tentazione per un artista di lasciarsi corrompere dal gusto del mercato o dei mercanti?

 

Si!

 

Quando sono nate e come sono nate le prime “immagini” della pittura di Romano Notari, mi riferisco alle forme ed ai colori che sono tutte e soltanto tue?

 

Nel 1955 c’è in me un preciso bisogno di cercare in un solitario scavo interiore l’aspetto inesplorato, misterioso e mutevole della condizione umana. Il modello simbolo diventa L’uccello e gruppi d’uccelli in un’osmosi di metamorfiche trasfigurazioni conturbanti e amorose, un crescente richiamo di libertà, di forza espressiva e visionaria. Aggredendo tutte le superfici della tela infusa di luce pittorica gialla, e luminosa, in espansione su di noi e verso l’alto, in un concetto cosmico e divino. Inizia così il mio viaggio visionario di processo in processo verso l’inesplorato, mentre in Italia dilagava l’informale.

 

La tua terra è l’Umbria. Quanto è importante?

 

Nulla! Perché la mia pittura scruta la visione del mondo! Semmai sento mie l’umiltà e la meditazione di San Francesco.

 

Tu hai progettato e inventato la tua casa? Ed è tua in ogni più piccolo dettaglio, ce la racconti?

 

Si! Pur essendo solo pittore ho sentito il bisogno di progettare uno Studio-Casa. Ho voluto creare spazi aperti, vuoti e pieni prospettici, funzionali come percorso continuo dello studio, con l’originalità di materiali poveri usati sia nella struttura interna che esterna, rispettando composizioni di colori caldi che amo, con un arredamento di mobili antichi e moderni in armonia con i miei quadri. Vorrei dire che il mio studio l’ho concepito come un’unica grande opera spaziale che coinvolge lo spettatore in emozioni forti come avviene per un quadro.

 

Il tuo studio occupa una parte considerevole della casa. Solo qui ti senti veramente a tuo agio? La tua è una casa piena d’oggetti curiosi e bellissimi antichi e di modernariato.

 

Infatti il mio studio occupa una parte considerevole della casa, lo spazio per il nucleo familiare è piccolo ma sufficiente. Amo il mio studio, perché è una mia creatura come le mille creature-opere che mi circondano e sento il loro respiro. C’è la mia intima storia, la mia personale vita d’artista e l’immortalità del tempo.

 

Due opere mi hanno sempre colpito in modo particolare: Il Processo Spaziale del ’66 e il Parto Floreale del 1990; quanto è cambiata la tua pittura in questi 25 anni?

 

I processi spaziali del 1966 appartengono ad un momento importante della mia ricerca pittorica. L’immaginazione assorbe e conquista uno spazio extraterrestre, una visione cosmica dove la Presenza regge il mistero della creazione della vita; l’uovo, lo scrigno segreto della vita. È la Presenza che invade l’opera in uno spazio non buio, ma luminoso e armonico della concezione divina che ci osserva dall’alto. Questo tema riemerge ancora nel 1990 con I Parti che rimarcano il bisogno visionario, poetico dell’aldilà, lo spirituale della nostra esistenza. Le simbologie di concezione divina come la croce, l’uovo, la purezza di un fiore, gli uccelli in adorazione emanano significati e segnali meditativi sulla nostra condizione umana sempre più materialistica.

 

E perché hai scelto Leda e Cigno?

 

Ho voluto lavorare anch’io al tema Ledacigno, come molti pittori che in varie epoche hanno affrontato quest’accoppiamento mitologico. Con venti opere di grande formato, in parte esposte alla XXXVIII Biennale di Venezia, questo ciclo racchiude e glorifica l’unità amorosa. La concezione di un tema così fantastico, non poteva che coinvolgermi, operando in una continua metamorfosi di opera in opera. L’attinenza con i miei simboli L’Uccello-Dio, L’UOVO e Leda mi hanno portato ad un’interpretazione pittorica della sublimazione dell’’amore, in una sensualità di bellezza, che distrugge la materia per diventare purezza e poesia.

 

É possibile raccontare lo Spremisole?

 

Spremere e stringere il sole Spremisole per evidenziare e far riflettere l’uomo che il sole è fonte essenziale di vita, d’amore, di luce. L’immaginazione fìgurale esce dal sole come monito, per non precipitare nel buio esistenziale di un pianeta in declino.

 

La tua è un’arte solare potente e visionaria. È possibile racchiuderla in una definizione?

 

Bella domanda, difficile la risposta... definire la mia arte vuoI dire cadere negli ... ismi. Provo a dire che la mia arte è come una rotonda porta aperta che conduce l’uomo in un viaggio inesplorato e sorprendente. ‘‘APRIMMO E VEDEMMO”

 

Hanno scritto che la tua arte sfugge da una catalogazione entro i consueti schemi storici

 

È vero ed è per me una grande soddisfazione sfuggire ad una precisa classificazione tra il labirinto degli ismi nei quali molti critici hanno voluto catalogarmi. Caso atipico? Ben lieto di esserlo! Evidentemente il mio linguaggio artistico contiene la genuinità del diverso dall’attuale arte in voga.

 

Il giallo, l’arancione, il rosso e le sue variazioni, perché sono questi i colori di Notari?

 

I primi quadri gialli nascono come sete di luce, di penetrare il mistero luminoso della vita; giallo, arancio e rosso sono usati non per il loro valore cromatico, ma per l’intensità luminosa e per potenziare il sentimento. E’ l’essenza delle mie opere questa gamma coloristica nelle sue infinite variazioni, e sempre in funzione dei contenuti mi permette di esprimere una calda spiritualità.

 

La creatività una parabola o si può essere creativi per sempre?

 

Purtroppo è inevitabile il declino dell’artista; l’ispirazione e la forza fisica, per legge umana vengono meno. Purché la parabola sia dolce e poco discendente... e in un lungo arco di tempo; importante è la dimensione della creazione, se è riuscita dura per sempre!

 

Tu una volta mi hai detto di essere un pittore ordinato. É vero? Ti aiuta?

 

Ordine e disordine mi legano per trovare serenità e concentrazione. Quando non dipingo il mio studio deve avere un suo rigore, una sua funzionalità, un’armonia delle cose che mi sono vicine. Quando dipingo, nasce un disordine frenetico, forte, eccitante; i colori sparsi ovunque a volte introvabili e pennelli che spesso mi trovo in bocca invece del mio sigaro ... é la bellezza di dipingere!

 

Guardando le tue opere si ha !’impressione che tu sia quasi “assalito” dalle visioni. É proprio così?

 

L’ispirazione che chiede e sente l’artista è tutto il suo patrimonio spirituale per fare arte, io sono stato fin da giovane assalito, come giustamente tu dici, da ispirazioni visionarie che mi hanno coinvolto in una forte produzione di opere e appagato nel tempo la qualità della mia espressione artistica. Tuttora la voglia di dipingere è grande, perché le visioni nascono in me nel mio cuore e nella mia mente, anche se il tempo della parabola si farà sentire....

 

Quanto è importante la tecnica per un’artista?

 

La conoscenza delle varie tecniche è importante per esprimere e ottenere efficacemente la visualizzazione del tuo pensiero, ma senza una forte ispirazione che è il motore della creazione di un’opera, non servirà a nulla la tecnica è solo un vuoto e banale esercizio manuale.

 

L’olio, la tempera, la china, la grafica, il collage, sono momenti equivalenti oppure no?

 

L’idea prima inizia con la grafica, segno e forma compositiva (vitalità), la tempera e l’olio scandiscono ritmi coloristici (linfa finale). Il processo non è equivalente ma conseguente.

 

Il tuo universo e fatto di immagini allusive talvolta inquietanti è vero? Esiste la bellezza anche nell’inquietudine?

 

L’immaginazione che appare in me e che proietto sulla tela può essere di dolcissima bellezza o malinconica bellezza ma anche, di drammaticità o allusiva figurazione metamorfica. A seconda del tema che vado esplorando. Nel ciclo di opere sacre anche se la luce le riempie in un impatto di serenità, è palese che c’è anche un messaggio forte ed inquietante e spesso questo si ritrova in altre opere di periodi diversi.

 

Tu hai insegnato per molti anni all’Istituto d’Arte di San Sepolcro ma si può insegnare e dipingere?

 

No! Divergenti missioni.

 

Tu stesso parli di simbolismo incantato. In che senso?

 

Nel senso che tutta la mia pittura viaggia in un mondo fantastico-trascendentale con una matrice di simboli spirituali da comunicare come messaggio di salvezza.

 

Ti senti fuori del mondo?

 

Forse si, direi fuori del tempo attuale, dal gioco delle trovate moderne e di mercato; a me piace così! Perché io cerco di individuare una verità di dimensione spirituale mia, autenticamente mia. Oggi così poco recepita! Il tempo seleziona, la vera arte ha bisogno di tempo.

 

Mi ha sempre incuriosito anche la ricerca delle cornici per le tue tele; sembrerebbe quasi che tu voglia che nessuno possa violare la tua creazione è vero?

 

Le cornici assumono un’importanza rilevante nelle mie opere, cerco di farle concorrere all’esaltazione dell’opera, l’invito attraente della cornice per entrare dentro l’opera; a volte le cornici antiche m’ispirano maggiormente per i ritmi compositivi dell’opera stessa e ne diventano causa di immaginazione. Custode e geloso delle mie cornici scelte.

 

Per concludere: al mondo servono gli artisti e le opere d’arte?

 

Guai se il mondo fosse stato privato d’artisti e opere d’arte, saremmo ancora ai primordi della vita e della conoscenza. L’arte è la ricchezza più alta per la crescita e l’evoluzione dell’essere. La linfa spirituale della vita e ancora oggi più che mai necessaria, altrimenti cadremmo nel baratro profondo dell’ignoranza.

 

Colloquio confidenziale tra Cesare Zavattini e Romano Notari, Campello sul Clitunno, maggio 2002.

 

 

Con la tua pittura, col tuo figurare fantastico, hai attraversato tutte le stagioni artistiche dall’informale alla transavanguardia. Per te l’antinomia figurazione - astrazione quale senso ha avuto e ha ancora?

 

La mia ricerca artistica è sempre maturata attraverso un profondo scavo interiore ed ha attraversato, senza mai esserne coinvolta direttamente, movimenti pittorici che avevano spesso come segno di modernità la novità dei materiali e la contemporaneità dei contenuti. É una poetica che rientra nel variato universo dell’Arte fantastica, distante dagli automatismi di formazione dell’immagine e dalla dimensione onirica del Surrealismo che come movimento storico è andato man mano esaurendosi essendo legato a una tendenza ideologica ben precisata. L’Arte fantastica dagli anni ’60 ha annoverato artisti che con differenti registrazioni di contenuti interiori, erano tutti rivolti a immaginazioni di profondi stati visionari e di memorie archetipiche, tralasciando la visione ottica del quotidiano e del visibile naturalistico. Giorgio di Genova nel 1973, in occasione della collettiva Nel solco del fantastico allestita presso la galleria Davico a Torino, sottolineava come l’Arte fantastica, rispetto al Surrealismo: “Ha positivamente recuperato l’uso della logica, pur senza dimenticare l’esperienza dell’irragionevolezza”. La mia pittura è sempre concepita in chiave di evocazione della forma che non smarrisce i riferimenti con il mondo naturale ma tende all’attuarsi di una totale identità con il mio immaginare, e da qui la distanza, e direi anche il superamento dell’antinomia figurazione-astrazione.

 

Perché nella tua pittura sovrastano, anzi dominano, il giallo e l’arancione? Perché questa esclusività? E’ solo luce e calore?

 

I primi quadri, come Ora Calda del 1962, sono nati con questi colori perché pensavo ai primordi della vita, al tuorlo d’uovo (nucleo vitale) e alla luce solare (fonte di energia). Le figure sono affidate a ritmi organici di spazio-colore, costruite con una plasticità di forme ora espansa ora contratta, immerse in una fluidità sonora tra densità e trasparenze. Il giallo, l’arancio e il rosso, fino ai rosa velati e tenui e ai bianchi appena riscaldati o folgoranti che utilizzo nel ciclo religioso, sono usati non solo per il loro valore cromatico, ma anche per l’intensità luminosa e per potenziare il sentimento. La gamma ristretta del colore, orchestrata su poche note con infinite variazioni e minime assonanze, è sempre in funzione dei contenuti e mi permette di esprimere una calda spiritualità. Marcello Venturoli, parlò di una “carezza dell’iride”, di “colori che più che catturati, sono stati immaginati”. La mia è una pittura di luce: luce che è insieme fisica e spirituale, linfa vitale del mondo e del sopramondo, una luce che non illumina gli oggetti o che crea l’ombra degli stessi, ma invade ogni figura e ogni spazio, non solo lo genera, ma si identifica con esso, una luce mentale, in un certo senso astratta, che è anche l’indicazione di un mondo pittorico distante dal naturalismo.

 

Torniamo un attimo indietro. Della formazione e dei tuoi maestri cosa ricordi e cosa ti è rimasto?

 

Alcuni artisti mi hanno coinvolto anche emotivamente e potrei citare, molto distanti nel tempo e sotto l’aspetto linguistico, il visionarismo di Bosch, il surrealismo di Ernst o il lirismo astratto di Rothko, ma la svolta per la mia ispirazione è nata dall’incontro con il pianeta dell’arte egizia, con il suo mistero, con l’incanto dei suoi colori caldi, con il suo cifrario nascosto e sublime, di una modernità che va oltre la storia. Intorno al 1954 nascono le mie prime composizioni di immagini femminili e uccelli legati in un rapporto fantastico, chine colorate realizzate su carta bruciata, bruciate dal sole, immagini che trascendevano la realtà apparendo come presenze solari portatrici di una nuova visione, tra l’immanente e il trascendente. Tutto è partito da lì, come soffio dello spirito rivelatore della mia vena artistica.

 

Una tappa fondamentale è stata per te la partecipazione a Foligno a “Lo spazio dell’Immagine” nel 1967; che ricordo hai dei rapporti con i curatori e con gli altri artisti? Cosa cambiò, da allora, anche per te?

 

La Commissione di cui faceva parte anche Umbro Apollonio che aveva presentato una mia personale alla galleria Gritti a Venezia nel 1962, invitò artisti che documentavano le più attuali ricerche artistiche, dall’Arte Cinetica all’Arte Povera, e pittori come me e Tano Festa provenienti da un’area figurativa. L’invito a partecipare a Lo spazio dell’immagine fu da me accolto con entusiasmo, poiché ebbi la possibilità di creare un’opera ideata già in partenza in funzione del luogo che doveva ospitarla, le affascinanti architetture di Palazzo Trinci. Collocai Processo spaziale religioso sul soffitto di un ambiente dalle pareti completamente spoglie. L’opera di grandi dimensioni con i suoi elementi aggettanti si proiettava verso lo spettatore che era indotto a rivolgere lo sguardo verso l’alto in completo raccoglimento, coinvolgendolo e conducendolo a sé. Una apparizione illuminante che invadeva il suo essere di nuove e molteplici visioni trascendentali. Ricordo che Lucio Fontana vide il mio ambiente e ne rimase fortemente colpito, suggerendomi di collocare sul pavimento lastre di acciaio che riflettessero l’immagine del dipinto. Poi scartai l’idea e Fontana fu d’accordo con me, poiché gli specchi erano utilizzati anche da altri artisti, come Pistoletto. In quegli anni realizzai dipinti, che chiamai Trumeau, dalle cornici modulate con tele estroflesse, un modo di superare la tradizionale superficie bidimensionale del quadro e articolare l’opera nello spazio.

 

I critici e le mostre. Anche la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. Racconta qualche ricordo o suggestione.

 

Nel 1959 Carlo Cardazzo ospitò una mia personale al Cavallino di Venezia, parlando di “Immensi occhi che ci guardano, personaggi divenuti come un astro, luminosi, paurosi, giocondi e calamitosi”. Nel 1965 Francesco Arcangeli mi presentò all’Odyssia di Roma e Guido Ballo al Naviglio di Milano. L’anno successivo fui invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia dove esposi grandi disegni del ciclo dei Processi. Determinante fu l’incontro con Roberto Tassi che scrisse tra le più belle e centrate pagine critiche sulla mia opera. Ricordo le nostre visite ad Assisi, le sue incantate soste davanti  agli affreschi di Giotto. Luigi Carluccio, attento e assiduo frequentatore del mio studio dove passava ore a scorrere le cartelle delle tempere, mi presentò nel 1974 alla galleria Bergamini a Milano, città dove mi ero trasferito agli inizi degli anni ’70. Nel 1978 mi invitò alla Biennale di Venezia, dove esposi in una sala personale i Monumenti a Ledacigno, un viaggio nel mondo mitologico dove l’uccello-cigno è il punto di arrivo e di sublimazione della metamorfosi del divino nel terrestre e la bellezza distrugge la materia per diventare purezza e poesia. Nel 1986 alla Quadriennale di Roma esposi Apparizione dello Spirito: Resurrezione che faceva parte di un ciclo di opere realizzate dai primi anni ’80 affrontando i temi più significativi del mistero terreno e divino del Vangelo: le Apparizioni dello Spirito. Sono stati anni animati da un’intensa ricerca spirituale e di profonda e sentita ispirazione lirica, da un ossessivo lavoro incentrato su opere eseguite con la tecnica del pastello su carta da scenografo, fino al passaggio finale delle opere a olio. Ogni mostra personale è per me più che una semplice esposizione di quadri, ma soprattutto l’occasione dell’incontro con il critico che dialetticamente con me la allestisce, come nel caso di Vittorio Sgarbi, che nel 2010 ha presentato una mia antologica in occasione del Festival di Spoleto.

 

La tua casa-studio a Campello sul Clitunno è stata pensata come uno spazio espositivo?

 

Nei primi anni ’70 ho progettato il mio studio, creando spazi aperti, funzionali alla collocazione dei dipinti. É concepito come un’unica opera spaziale, un grande, articolato dipinto tridimensionale che coinvolge lo spettatore in emozioni forti come avviene per un quadro. Se gran parte delle mie opere sono nate nello studio in Umbria, dove la luce solare ha dato vita e forma alle mie visioni, lo studio di Milano è il luogo dove è iniziata e si è sviluppata la mia carriera artistica. Due momenti, due luoghi fisici e mentali così distanti e contrastanti, ma assolutamente indispensabili e, direi, complementari.

 

La tua pittura procede per cicli pittorici. Dalle Visioni a 2 del 1962 agli Amori solari del 1978, dai Monumenti Spremisole del 1989 fino ai Dischi spiritualizzanti del 2000.

 

Tutta la mia pittura si è sviluppata per cicli pittorici, secondo un ordine di profonda meditazione riflessiva e di consumazione fino all’esaurimento dello stesso soggetto, cicli che tuttavia rispettano la stessa fonte di evocazione, immagini si ripetono come sogni che rimandano l’un l’altro, all’interno dello stesso quadro, ma anche di quadro in quadro. La mia poetica ha avvertito fin dall’inizio l’esigenza di procedere a un lento ma continuo scavo interiore per cogliere i valori nascosti di visioni simboliche e senza programmazioni è sgorgato un itinerario dell’inconscio obbligatorio che attraverso viaggi illuminanti mi ha condotto di processo in processo fino a oggi, alla scoperta del diverso, per cogliere l’inafferrabile significato della vita, l’amore terreno e spirituale. Il termine Processo torna con molta frequenza nei miei titoli, processo come fattore dinamico, come continua verifica della dialettica dei momenti vita-morte, gioia-dolore, resi, al di là dalla loro portata fenomenologica ed esistenziale e del contingentismo emozionale.

 

Nel 1986 Arturo Schwarz ti invitò alla Biennale di Venezia, nella sezione Arte e Alchimia.

 

Il mio è un mondo pieno di suggestioni, di inquieto immaginare scaturito, fra il conscio e l’inconscio, dall’abisso archetipico dove confluisce origine e contemporaneità delle cose. Alcuni elementi caratteristici possono chiarire la lettura alchemica delle mie opere: l’uovo, inteso come elemento primordiale; i colori giallo, bianco e arancio (rosso), simboli di vita; l’ubiquità della luce che irradia un mondo senza ombre e senza tempo; l’amore inteso come tentativo di unificare il corpo e lo spirito; l’uccello, in continua, ossessiva metamorfosi, simbolo di libertà e presenza angelica che unisce nel volo la terra con il cielo, il naturale con il divino, adorato e nello stesso tempo adoratore; la linea curva usata, secondo una ricca fenomenologia del rotondo, per creare la struttura di ogni opera, ora distesa, ora chiusa nel contorno netto delle forme, che culmina nel cerchio, simbolo di perfezione divina e centro di cosmicità. Linea curva che è anche l’occhio delle mie presenze umane-divine e sfera del sole.

 

Agli inizi degli anni ’90 risalgono le Stanze dei Processi aperti.

 

Dopo i cicli degli Uccelli Sole e dei Parti, opere dove l’immagine è frontale, fortemente iconica e incombente nella sua sacrale fissità, dal 1991 al 1993 ho eseguito una serie di grandi dipinti dal titolo Le stanze dei processi aperti, che recuperano la dimensione del racconto. Stanze come succedersi di eventi racchiusi all’interno di ampie scenografie prospettiche, visioni in continua metamorfosi che si sublimano per mezzo di simbiotiche rifrazioni di specchi. Stanze che ospitano il divenire di proiezioni fantastiche della realtà, il susseguirsi di apparizioni, un entrare e uscire dalla scena delle figure, fuse, intrecciate, congiunte e sovrapposte. Sono immagini, come spesso accade nella mia pittura, che assomigliano a qualcosa che non sono, dove la forma ha la facoltà allucinatoria di animare il mondo reale con significati diversi. Nelle Stanze c’è anche quel rapporto tra organico e geometrico-architettonico, quel rigore costruttivo del quadro, quell’autocontrollo emotivo che fin dai primi anni ’60, ha informato il mio procedere pittorico.

 

Quanto è importante per te il disegno?

 

Il disegno, nonostante il tonalismo delle mie opere a olio, ha un significato primario, il momento grafico è sentito da me molto prima di affrontare il dipinto, come verifica di variazioni del mio immaginario poetico. Uno stadio più intimo ed anche tecnicamente più libero, una continua, incessante, controllata stenografia attraverso la quale posso liberamente tracciare i miei fantastici itinerari che successivamente si tradurranno in pittura. Le chine, i pastelli e le tempere sono più di un’attività preparatoria, piuttosto rappresentano una vera e propria variante creativa, già ricca di invenzioni metamorfiche, sono opere compiute dove la mia visionaria narrazione procede per trasformazioni ed esplorazioni successive.

 

Attualmente che continuità ha la tua pittura?

 

Negli ultimi anni sto lavorando, seguendo un cerchio creativo che continuamente si chiude e si riapre alla creatività, a un ciclo di opere dal titolo Parti spirituali, composte di più tele unite tra loro in modo da creare dittici e quadrittici.  La centralità dell’immagine è affidata a un cromatismo nello stesso tempo fluido e teso, e partendo dal nucleo di un’idea compositiva va ritmicamente ad articolarsi in ulteriori ed enigmatiche forme che si evolvono di quadro in quadro, come seme di senape che si sviluppa in un grande albero della vita. Il senso del sacro che si apre a una visione cosmica, a una forma di spiritualità indeterminata ma lucida, è una presenza costante nei miei quadri fin dal 1966 quando dipinsi Processo religioso.  É una tensione e a volte un abbandono mistico, verso un mondo assoluto e totalizzante, verso qualcosa d’indefinito che gli uomini, in contrasto con ciò che appare transeunte, sembrano aver smarrito per sempre.  Un continuo invito a intraprendere un viaggio che ci sollevi dal piano del reale in direzione di uno spazio in cui domina la presenza infinita dello spirito.  Luigi Carluccio scriveva: “Come un profeta, Notari cerca in pittura apparizioni rivelatrici, excessus mentis travolgenti, verità inconfutabili che si offrano anche all’intuizione di noi mortali. Notari cerca la luce, l’origine del tutto, l’essenza assoluta, il prima e il poi, la materia che si fa spirito”.

 

Massimo Duranti, Le fantastiche visioni di luce-colore di Romano Notari, in Contemporart, ottobre-dicembre 2015.